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Le offese in chat non costituiscono reato quando sono rivolte direttamente alla persona offesa.

2020-05-15 17:58

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Le offese in chat non costituiscono reato quando sono rivolte direttamente alla persona offesa.

Non costituisce reato offendere un soggetto all'interno di una chat quando la comunicazione è rivolta direttamente al destinatario.

A stabilirlo è la Sentenza n. 10905 del 31 marzo 2020 della Corte di Cassazione Sez. 5


Secondo la Corte di Cassazione offendere l’interlocutore in una chat, anche se alla presenza di più persone, non integra il reato di diffamazione ma rientra nella fattispecie dell’ingiuria che però è stata depenalizzata dalla legge n. 7 del 2016.



La ragione della decisione della Suprema Corte va infatti individuata nell'elemento distintivo tra la diffamazione e l’ingiuria: la presenza o meno della persona offesa.



Nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa tra più persone e non è posto in condizione di interloquire con il difensore.


Nell'ingiuria la comunicazione è diretta all'offeso.


Prima di procedere oltre è utile una breve disamina dei due istituti. 


Il reato di ingiuria (attualmente depenalizzato) era previsto dall'art. 594 c.p. che puniva il comportamento di chiunque offendeva "l'onore o il decoro di una persona presente"; l'articolo nei commi successivi prevedeva alcune circostanze aggravanti: commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa; offesa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato; offesa commessa in presenza di più persone.


La norma tutela i beni giuridici dell'onore ed il decoro  da ogni attacco diretto alla dignità personale e sociale dell'essere umano, che ricada sotto la sua percezione.


L' onore, inteso come l'insieme delle qualità morali che concorrono a determinare il valore di una persona;


Il decoro, concernente il rispetto (o il riguardo) di cui ciascun individuo è degno (Cass. n. 34599/2008).


II delitto di diffamazione disciplinato dall'art. 595 del codice penale punisce la condotta di:


Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.


Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.


Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 .


Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.



La diffamazione è un reato previsto e punito dall'art. 595 c.p. che consiste nell'offesa all'altrui reputazione fatta comunicando con più persone. Ai fini della configurabilità del reato di diffamazione è necessario che la persona offesa non sia presente o, almeno, che non sia stata in grado di percepire l'offesa. Si tratta di un reato comune posto a tutela dell'onore in senso oggettivo quale stima che il soggetto passivo riscuote presso i membri della comunità  di riferimento. 


Il terzo comma prevede una circostanza aggravante quando l'offesa è arrecata a mezzo stampa, pubblicità, atto pubblico; i questi casi viene in rilievo l'alta capacità  di diffusione delle vie di comunicazione impiegate che consentono all'offesa di raggiungere un numero indeterminato di persone.
Secondo giurisprudenza ormai consolidata l'offesa arrecata utilizzando internet od in un social network rientra nella fattispecie tipizzata nel terzo comma dell'art. 595 c.p.


Nel caso in esame, l'offesa era stata espressa all'interno di una chat video nella quale partecipava anche il soggetto a cui la stessa era rivolta, inoltre la chat  era temporanea e non  permanente, come ad esempio la chat dell'applicazione whatsapp; pertanto l'offesa una volta chiusa la chat non sarebbe stata in grado di essere percepita da ulteriori soggetti.



In precedenza, in un caso simile, la stessa Corte aveva ravvisato la sussistenza della diffamazione escludendo l’ ingiuria, sostenendo che, «sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato (‘e-mail’ o ‘internet) consenta, in astratto, (anche) al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa, il fatto che il messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori – i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi -, fa si che l’addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso (Sez. 5, n. 7904 20/2/2019, - Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012)







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